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IL LIUTAIO

Il liutaio, colui che ridà vita agli antichi strumenti
È con gran piacere che raccolgo l'invito a parlare dell'attività che occupa le mie giornate da alcuni anni a questa parte: il restauro degli strumenti ad arco.
Prima di entrare nel merito delle tecniche adottate per riportare alla vita uno strumento danneggiato, penso sia doveroso spendere alcune parole sulla posizione, a volte controversa, di chi fa il mio mestiere.
I casi della vita che possono orientare una persona verso questa professione sono molteplici: si può essere attratti dall'arte della lavorazione del legno, dalla pulizia di uno strumento stradivariano o ancora dall'amore per la musica e quindi dal desiderio di penetrare il mistero di cui gli strumenti antichi sono ammantati. Io credo di essere sensibile a
tutti questi aspetti ed è quindi per questo motivo che il restauro per me rappresenta una specie di avventura intellettuale se non addirittura una sfida.
Al lettore più attento non sarà sfuggita la frase «riportare alla vita uno strumento», il riferimento antropomorfico non è casuale perché sintetizza nel modo migliore l'obiettivo chi mi prefiggo ogni volta che mi viene sottoposto uno strumento «bisognoso» delle mie cure.
Nelle rosa degli strumenti di pregio che ho avuto occasione di restaurare recentemente quello che ricordo forse con maggior affetto è uno splendido contrabbasso attribuito a Gian Paolo Maggini (1580-1631) di proprietà del conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. Dall'esame di questo raro esemplare è possibile riscontrare una serie di elementi, a par-
tire dalla doppia filettatura, che riconducono alle peculiarità stilistiche di questo artista.
L'operazione, resa possibile dall'appoggio della Cassa di Risparmio di Torino, ha trovato nell'amico e valente contrabbassista Emilio Benzi il suo più appassionato sostenitore, al punto da seguirne con trepidazione gli sviluppi un passo dopo l'altro (cfr. Tema con Variazioni n. 7i98, pp. 14-15). Eravamo assieme quando si trattò di constatare le pessime condizioni interne dello strumento, funestato, più che dal passare dei secoli, da interventi di pseudo-liutai assai poco scrupolosi. Ricordo che in quella occasione, forse colti da un attimo di sconforto, ci trovammo di fronte ad un bivio: Il Maggini sarebbe rimasto quello che era, ovvero uno strumento da museo, magari reso più fascinoso da una buona lucidatura, ma inca-
pace di esprimersi, oppure sarebbe tornato a dispiegare la sua magnifica voce? Fortunatamente questi pensieri negativi se ne andarono con la stessa rapidità con cui erano venuti e potei quindi realizzare che si poteva e si doveva operare un intervento radicale volto a risanarlo in tutti i suoi componenti. Le immagini fotografiche documentano i momenti più significativi dell'«impresa»: nella prima è raffigurata la faccia interna della tavola armonica che evidenzia varie fratture e soprattutto un'accozzaglia di tasselli grossolani e male incollati. In questi casi, prima di intervenire sulle crepe, è necessario eliminare ogni traccia dei precedenti restauri che, se come in questo caso non sono rispondenti alle regole della liuteria, tendono ad appesantire e snaturare lo strumento nella sua pri-
mitiva costituzione. Può capitare che gli strumenti antichi, qualora non siano stati conservati con la massima cura nel corso dei secoli, vengano attaccati dal tarlo, esattamente come i mobili. Il nostro non faceva eccezione e pertanto è stato necessario otturare le gallerie con apposite sostanze al fine di scongiurare rumori indesiderati a strumento ultimato.
La seconda immagine illustra come si sia provveduto ad irrobustire l'esile contorno della tavola armonica, mentre la terza raffigura l'interno della tavola armonica a resturo ultimato. I vari interventi ai quali lo strumento è stato sottoposto nel corso dei secoli hanno, in taluni casi, portato ad un assottigliamento del coperchio che, all'atto del resturo, misurava mediamente soltanto tre millimetri di spessore (quanto la tavola di un buon violino) per cui è stata resa necessaria l'applicazione di un rinforzo nella parte centrale unitamente a varie listarelle trasversali di abete volte a riconferirgli le sue caratteristiche di robustezza originaria.
L'ultima immagine ci mostra lo strumento nella sua veste definitiva; le condizioni generali della vernice erano globalmente buone e pertanto è stato sufficiente ravvivarla con una soluzione al-
colica di gommalacca e benzoino. Ci tengo a sottolineare che l'intero restauro è stato svolto con il necessario scrupolo filologico che penso di aver espresso nell'osservanza del rispetto assoluto dell'idea primigenia del Maestro e nel tentativo di assecondarla. Questa precisa volontà ha investito anche l'esecuzione della «montatura» (il ponticello e la cordiera) realizzate in armonia di stile con le caratteristiche dello strumento.

Davide Peiretti
Tratto da Tema con Variazioni, mensile dell’Orchestra Filarmonica di Torino, apr. 1999

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