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II contrabbasso,., brutto anatroccolo

Werther Benzi: uno dei protagonisti della sua metamorfosi

A chi si avventura per la prima volta in una sala da concerti e osserva con l'attenzione del neofita la composizione dell'orchestra, non può passare certamente inosservata la sezione dei contrabbassisti. Posta solitamente sulla destra del palco, suona uno strumento corpulento, ingombrante e cupo, il quale dà più un'impressione di contorno che di fondamentale utilità.
Tuttavia, se il neofita continuerà le sue frequentazioni diventando un appassionato, inizierà ad accorgersi dell'importanza espressiva e della funzione catalizzante in tutte le sfumature dinamiche delle partiture, che rendono il contrabbasso base indispensabile per l'architettura armonica dell'esecuzione.
Se poi l'appassionato si trasformerà, Dio lo voglia, in un profondo cultore della musica classica e capirà quanto questo strumento emani qualcosa di magico e di esoterico. La sua esteriorità apparentemente rude cela, in realtà, una dolcezza, una pastosità piena e una profondità avvolgente. A noi, che lo suoniamo a contatto diretto con il corpo, trasmette vibrazioni intense e immediate, che ci pervadono intensamente, dandoci la sensazione di essere parte dello strumento.
Eppure il contrabbasso, per meritarsi la stima, la considerazione e il dovuto rispetto dai suoi fratelli archi, ha lottato intensamente per secoli, vivendo un travaglio lungo e difficile. Il vero motivo è che la sua trasformazione tecnica è avvenuta solo negli ultimi sessanta-settant'anni. Un'evoluzione rapidissima e vertiginosa, che ha trasformato completamente la filosofia del suo uso: da strumento esclusivamente orchestrale e camerale a strumento solistico, con le stesse possibilità espressive del violino, della viola e del violoncello.
Perché questo ritardo rispetto agli altri strumenti ad arco? Dal 1550 circa, periodo in cui fu definita da Andrea Amati la suddivisione attuale
della famiglia degli strumenti ad arco, tradizionalmente gli si affidava un compito quasi esclusivamente orchestrale, di ripieno o di basso continuo.
Ma già quel geniaccio di Mozart aveva per primo ben capito quali fossero le reali possibilità del contrabbasso affidandogli, assieme alla voce del baritono, la parte solistica nell'aria "Per questa bella mano", scritta, appunto, per baritono, contrabbasso e orchestra. Non essendoci, a quell'epoca, esecutori in grado di affrontarla con sufficiente maestria, Mozart scrisse di suo pugno, alla fine del brano, che la parte del contrabbasso poteva essere eseguita anche dalla viola.
Dall'Ottocento ai primi del Novecento, tre grandi contrabbassisti - Domenico Dragonetti, Giovanni Bottesini e Sergej Koussewitzki - costruirono un trampolino di lancio per la modifica sostanziale della filosofia e dell'evoluzione tecnica dello strumento, iniziando una produzione repertoriale di carattere solistico, che sviluppo tutte le tematiche affrontate dagli altri archi nei due secoli precedenti.
Ma Dragonetti, Bottesini e Koussewitzki, forse perché troppo impegnati nel divulgare le nuove possibilità del contrabbasso con le loro attività concertistiche, in realtà non lasciarono un'impronta didattica che potesse essere considerata una vera e propria scuola e, fino alla metà del '900, si cercarono codificazioni che potessero dare inizio a un'impostazione tecnica uniforme. Da allora inizia la sensibile trasformazione dello strumento, grazie alla spinta decisiva di capiscuola che hanno sviluppato una cultura didattica codificata in una comune filosofia strumentale, dandogli definitivamente una collocazione solistica anche nell'ambito didattico. E la metamorfosi del contrabbasso colma rapidamente il gap che lo separava dai suoi fratelli archi.
Una tra le più importanti e prolifiche tra le scuole italiane è stata sicuramente quella del Conservatorio Vivaldi di Alessandria, che ha avuto come iniziatore il M° Werther Benzi. Chi era? E perché è stato così importante per la storia del nostro strumento? Per me, suo figlio e allievo, non e facile rispondere.
Nato a Rimini il 13/9/1912 e morto a Torino il 13/1/1982, diplomatosi sotto la guida del M° Semprini di Ancona, dal 1936 al 1972 è stato il 1° contrabbasso della mitica "Orchestra Sinfonica della Rai di Torino" (per intenderci, quella diretta dal M° Mario Rossi). Dal '48 al '75 ha occupato la cattedra dell'allora Liceo Musicale A. Vivaldi, contribuendo in modo decisivo, grazie ai risultati didattici ottenuti, al passaggio da Istituto Pareggiato a Conservatorio Statale di Musica.
Nei confronti dei suoi allievi nutriva un grandissimo senso di responsabilità: pretendeva una disciplina assoluta, trattandoli con una durezza a volte persino eccessiva. Ma, alla fine del corso di studi, quando gli sforzi comuni si coronavano con la realizzazione professionale degli allievi stessi, emergeva una parte inattesa del suo carattere e il rapporto con loro diventava affettuoso, quasi a voler compensare con la dolcezza la severità del passato.
Questi forti contrasti sono tipici della gente della sua terra, che vive con intensa passionalità e decisa partecipazione tutto ciò che affronta e, con disarmante genuinità, riesce a coniugare atteggiamenti opposti. La sua terra, la sua Rimini, che Werther mi insegnò a conoscere e amare fin da piccolo. Non nel frastuono appariscente del lungomare o nell'opulenza della vita notturna, ma negli scuri vicoli del centro storico. Qui i veri riminesi, quelli che vivevano intensamente le affascinanti e impalpabili atmosfere felliniane di una città incredibile, un tempo si ritrovavano intorno a una piadina e a un bicchiere di Sangiovese in qualche fumosa e nascosta osteria del borgo S. Andrea, sulle cui pareti facevano bella mostra i ritratti di Verdi e di Rossini.
Le serate scorrevano tra accese discussioni critiche sulle opere liriche e sugli interpreti più famosi dell'epoca, ascoltando dischi dai solchi consumati, che conservavano intatto il fascino polveroso del documento storico. In una di queste osterie il padre Antonio, grande appassionato di musica (lo chiamò Werther in omaggio alla celeberrima opera), terminato il lavoro di tipografo, lo portava spesso con sé. Fu così che crebbe in lui il bisogno di avvicinarsi sempre più a questa forma di espressione e, quando chiese di studiare uno strumento, fu immediatamente soddisfatto, non senza pesanti sacrifici economici. Così, venne affidato alle mani esperte del M° Semprini, contrabbassista di Ancona, con il quale si diplomò da privatista al Conservatorio di Bologna con il massimo dei voti, iniziando così la sua lunga e prestigiosa carriera.
Personaggio carismatico, era un interprete intelligentissimo: dotato di una non comune musicalità, aveva una naturale facilità strumentale, un'eccezionale prontezza esecutiva e una grande sicurezza, qualità che lo hanno reso, a quei tempi, il più apprezzato 1° contrabbasso italiano. Come insegnante ha legato il suo nome esclusivamente al Vivaldi di Alessandria, dando al mondo musicale italiano un impulso decisivo per la valorizzazione del nostro strumento. Infatti, non c'è orchestra lirico-sinfonica nazionale che non abbia, o abbia avuto, tra le sue file elementi provenienti dalla sua classe e chi, tra gli allievi, si è anche dedicato all'insegnamento, ha continuato l'opera del caposcuola, contribuendo a mantenere risultati lusinghieri e importanti.
Per questa ragione il Conservatorio A. Vivaldi e il Comune di Alessandria, con la sponsorizzazione della Cassa di Risparmio, gli hanno intitolato un concorso per giovani contrabbassisti. Dedicato a tutti gli studenti del 4° e 5° anno e diplomandi dei Conservatori e Istituti Pareggiati Italiani, è giunto ormai alla quarta edizione, che si terrà dal 22 al 24 aprile 2002.

Emilio Benzi
Tratto da Il Cantiere Musicale, anno II, n. 12

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